mercoledì 12 giugno 2013

Perché la macchina della verità non funziona

Il cervello dei criminali può realmente sopprimere il ricordo e il senso di colpa, ingannando ogni rilevatore di colpevolezza MILANO - Si chiamano No Lie MRI oppure Brain Fingerprinting Laboratories e sono tra i tanti sistemi che rivendicano la capacità, attraverso l’ormai diffusa (e persino abusata) neuroimaging (capace di misurare il metabolismo del cervello), di vedere cosa accade nel cervello delle persone, intercettando anche le emozioni e il senso di colpa di un ipotetico colpevole attraverso l’individuazione delle aree interessate. Il concetto è quello della macchina della verità che, con un tasso di errore marginale, può offrire indizi importanti sull’innocenza o meno di una persona. Salvo che quest’ultima non decida, e non sia in grado, di simulare l’innocenza. In che modo? Semplicemente spegnendo temporaneamente e volutamente la memoria. LO STUDIO – Uno studio promosso dalle Università di Cambridge, Kent e Magdeburg dimostra infatti che talvolta il reo mette in atto, volontariamente, temporanei meccanismi di soppressione della memoria in grado di mandare in tilt qualsiasi tecnica, proprio perché le zone cerebrali chiamate in causa realmente si comportano come se non esistesse colpevolezza, anche quando non è così. I volontari osservati sono stati indirizzati a compiere finti crimini e a cercare di sopprimere successivamente il ricordo ed è risultato che alla vista di un dettaglio riconducibile all’episodio criminoso alcuni tra loro erano in grado di pilotare le reazioni del proprio cervello, impedendo all'area cerebrale che ricordava l'evento di «accendersi». LA COMPLESSITA’ DELLA PSICHE - Zara Bergström, alla guida del team di ricerca anglo-tedesco, specifica che gli strumenti di neuroimaging hanno un’assoluta attendibilità, ma il problema è a monte, ovvero nel comportamento cerebrale del sospettato e nella complessa psicologia umana, in grado di controllare la capacità mnemonica e accantonare i ricordi scomodi e non desiderati. Esistono Paesi, come gli Stati Uniti, l’India e il Giappone, dove la scansione dell’attività cerebrale viene considerata valida come prova nei tribunali, con la pretesa di individuare con accurata precisione un’eventuale colpevolezza. Ma la sua fallibilità sta nel fatto che l’essere umano può realmente e intenzionalmente inibire un ricordo, comportandosi a tutti gli effetti come se la memoria del crimine venisse rimossa. NEUROIMAGING CON PRUDENZA - Michael Anderson, della Medical Research Council Cognition and Brain Sciences Unit in Cambridge, sottolinea che questa capacità di gestione dei ricordi non è da tutti e sottolinea la necessità di capire, attraverso altri studi ed esperimenti, per quale motivo c’è chi ha questo potere. In sostanza la ricerca non scredita totalmente i sistemi di neuroimaging nella criminologia, ma mette in guardia sulla loro reale efficacia, suggerendo di utilizzarli con cautela. Emanuela Di Pasqua 6 giugno 2013 | corriere.it

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